Perché ci facciamo un ritratto? Quanto c’è di reale e di personale in un ritratto?
Non parlo di selfie, soffermiamoci sul ritratto che un fotografo realizza ad una persona.
Le motivazioni di chi lo chiede possono essere molteplici: narcisismo, business, necessità pratiche. L’intenzione da parte del fotografo è di riuscire a rendere, oltre alle caratteristiche fisiche, i tratti caratteriali ed emozionali della persona.
L’impresa potrebbe sembrare ardua: se consideriamo che ci sono 86.400 secondi in un giorno e circa 6.912.000 in una vita e che in tutto ciò, non solo la condizione fisica ma anche l’umore e lo stato psicologico possono cambiare radicalmente, la pretesa è di cristallizzare in una frazione di secondo (il tempo di scatto della macchina fotografica) aspetti del soggetto unici, strettamente personali ed oserei definire oggettivi.
Escludendo tout court la manipolazione digitale dell’immagine attraverso software in grado di trasformare il volto eliminando rughe, assottigliando guance e addirittura accentuando sorrisi, che contraddice le intenzioni dell’autore creando una falsificazione e un’ulteriore modifica sostanziale alla “naturalezza “ interpretativa ricercata nella ripresa, non possiamo esimerci dal considerare quanto il fotografo, consciamente o inconsciamente, riversi i propri pregiudizi nell’immagine del soggetto.
Eppure, nonostante ciò, guardando alcuni ritratti siamo spesso portati a riconoscere aspetti del carattere della persona che perdurano tutta una vita, seppur con sfumature temporanee legate al momento specifico o all’età.
Il risultato è frutto di una sensibilità e di un atteggiamento nei confronti del soggetto che ogni fotografo interpreta in modo differente. Entrano in gioco le scelte sui tempi del ritratto e della relazione, gli input volti a stimolare una reazione, la distanza con la persona, l’ambientazione, la luce, la selezione del fotogramma o del file.
Rimane la magia dell’unicità che rende ancora oggi affascinante avere un proprio ritratto da considerarsi il ritratto, nonostante si disponga di migliaia di selfie e di fotografie scattate da decine di smartphone amici, anch’essi memoria della nostra quotidianità.
Facciamo un ritratto, stampiamolo, incorniciamolo, è una soddisfazione che non ha paragoni in confronto alle altre formule ossessive del quotidiano.
Nelle due fotografie, Vincenzo e Ippolita, due avvocati di grido ma soprattutto due amici, ritratti per la loro comunicazione istituzionale