Ti è mai capitato di andare al cinema e vedere un film raccontato attraverso delle
fotografie?
Sì, è possibile, e può anche capitare che il film sia stupendo.
Non per niente ha vinto il leone d’oro a Venezia.
Peccato che occorra cercarlo nelle sale cinematografiche con il lanternino; comprendo,
non è un film da cassetta, ma, diamine, una distribuzione più diffusa la merita eccome!
Di questi tempi va di moda scrivere all’inizio dei film “tratto da una storia vera”;
ovviamente la sceneggiatura è romanzata e la vicenda chi lo sa come è andata realmente.
Questa invece è una storia VERA, narrata per buona parte attraverso le fotografie di Nan
Goldin; se non la conoscete googolatela, please!
La forza e la qualità delle immagini accompagnate dalla voce dell’artista e degli altri
personaggi trafiggono lo spettatore, che resta incollato allo schermo per 113 minuti. Non di
sole fotografie si tratta; agli slideshow si aggiungono riprese filmate del passato e della
recente attività della fotografa in seno all’organizzazione P.A.I.N., da lei fondata con altri
artisti e finalizzata alla denuncia delle responsabilità della famiglia Sackler nello scandalo
legato agli oppioidi.
Ma di fotografia vorrei parlare. Nan Goldin realizza un “diario in pubblico”, in cui arte e vita
sono inseparabili. Ritrae amici e conoscenti ma anche se stessa, sono ricordi privati che
ad un certo punto diventano pubblici quando decide di esporli rivelandone lo status di
opere d’arte.
È su questo tema che vorrei soffermarmi. Al di là della caratura artistica di questa
formidabile fotografa, se metto a confronto gli odierni diari di instagram con le immagini di
Nan Golding vedo una notevole somiglianza nella narrazione del quotidiano. La differenza
sostanziale sta nel fatto che mentre dalle fotografie di Nan Goldin emergono persone reali,
disposte a mettersi “a nudo” di fronte all’obiettivo, l’odierno quotidiano social sfocia nel
trionfo della finzione, nella rappresentazione del “vorrei essere ma non sono”,
nell’ostentazione di un racconto palesemente fasullo al quale, salvo alcune eccezioni,
cedono la maggior parte dei profili indipendentemente dalla fama e dai follower.
Questa differenza di realismo e di potenza nelle immagini di Nan Goldin consente di
trascorrere più di un’ora e mezza in una sala cinematografica guardando fotografie di
altissimo spessore con una vera storia alle spalle.
Cercatelo e gustatevelo: “All the beauty and the bloodshed” di Laura Poitras, la regista
che, ovviamente, ha le sue belle responsabilità nella buona riuscita del film.